La santità è la missione, lo scopo della nostra vita terrena. La vera chiamata per ogni essere umano. La “via della santità” è un cammino di trasfigurazione interiore, dove la vita quotidiana si lascia pervadere dalla luce dello Spirito e si fa trasparente al divino, dimora del divino. Purezza come adesione totale. Contribuire alla spinta dell’Amore, alla forza creatrice. Farsi travalicare, esperienza che porta a sentire l’unità del tutto, ad essere frammenti che contengono l’intero. A diventare figli di Dio. Diventiamo figli di Dio nel momento in cui rispondiamo all’Amore, egli eletti, gli amati. Il divino che si incarna nell’umano, dilatazione, la vita individuale si apre alla vita universale.
La nascita di Dio dentro di noi è un evento sempre in atto, in ogni momento in cui ci rendiamo disponibili. Dio ha bisogno di me per nascere nel mondo, e io ho bisogno di nascere in Dio: è una relazione reciproca, misteriosa e feconda.
Dire “sì” significa riconoscere che questo evento riguarda me, il mio cuore, la mia vita concreta. È l’io che si apre alla relazione, che non resta chiuso in sé stesso.
Essere “io nello Spirito” significa partecipare a un’unità più grande, quella dello Spirito che è Amore. Parte viva di una comunione che mi oltrepassa. Dinamismo che non appartiene solo ad Cristo ma ad ognuno di noi. Gesù ha reso possibile questo salto quantico della coscienza, ha aperto la vita per tutti. Essere dentro al mistero, diventare madri di Dio, come Maria, anima madre del nostro io, immacolato, puro. L’anima che genera Cristo. Ogni anima porta in sé come un grembo materno il Cristo, dice San Giovanni Crisostomo.
La santità quindi come trasparenza, nessuna maschera piu, nessuno scarto, piena appartenenza al corpo mistico dei santi. Stare sempre in quella prezenza, in quell radicamento. Diventarne manifestazione.
Un cristiano dice sì ogni giorno, si converte ogni giorno.
Il cammino interiore è un lavoro di purificazione: smascheramento e spoliazione. Gesù apre una via che conduce alla verità, e la verità apre alla vita — alla vera vita, la Vita Eterna. Ci sono sovrastrutture da cui liberarsi, illusioni da lasciare cadere, un necessario svuotamento che ci restituisce alla nostra essenza. L’inganno dell’ego è velo che nasconde, un narcotico che addormenta, un travestimento che soffoca la luce. La resurrezione è la rivelazione della vera vita: acqua che disseta, sorgente che rinnova. È orientamento, è via che libera dall’oscurità, è un processo di guarigione che trasforma l’essere nelle sue radici più profonde.
Come nella resurrezione di Lazzaro, Gesù ci chiama per nome: ci invita a uscire dal sepolcro delle nostre paure e catene, per camminare nella libertà dei figli di Dio.
“Io sono la vite, voi i tralci“: radicamento, appartenenza totale, centratura, comunione vitale. Rimanere in questo Amore e Luce. La vite e i tralci sono una sola realtà. Il tralcio non vive di se stesso, non ha radici proprie: la sua forza e il suo nutrimento vengono dalla vite. Così è il discepolo. L’immagine della vite e dei tralci è universale: ogni essere umano è chiamato a entrare in questa comunione vitale.
Il verbo chiave di questo passaggio di Giovanni è rimanere. Non si tratta di fare cose straordinarie, ma di restare in Cristo. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Nel rimanere, anche le potature della vita — dolori, fallimenti, prove — diventano feconde. “Il frutto” non è sforzo dell’uomo, ma dono che sgorga dall’unione. Non ci è chiesto di produrre da soli, ma di lasciare che la linfa porti vita attraverso di noi. Il frutto di cui parla Giovanni in questo passaggio è l’Amore. Se il tralcio si stacca, si secca. È il destino dell’ego che vuole bastare a sé stesso: isolato, perde vitalità. Ma se resta innestato nella vite, persino il più fragile e gracile dei rami diventa fecondo. La santità non è perfezione individuale, ma circolazione della vita divina in noi.
La santità: capacità di diventare trasparenti alla Presenza divina che abita l’intimo di ogni essere umano. L’io, con le sue rigidità e pretese, deve progressivamente cedere spazio al “Figlio di Dio” che nasce dentro di noi. La santità coincide allora con l’opera silenziosa dello Spirito che trasforma le fibre più nascoste dell’essere, ricomponendo ferite, sciogliendo paure, la vera libertà e rinascita dello spirito. Tutto torna alla vita: morte della morte, la morte di ciò che è morto dentro di noi e che ritorna alla vita. Ecco la buona novella del Vangelo.
Possibilità per ciascuno, nella misura in cui si lascia lavorare dall’energia vivificante del Logos.
Santità, una via di interiorità. La vera via della santità non si trova in riti esteriori o in atti di devozione formale, ma nella discesa al cuore, là dove risuona la Voce silenziosa di Dio. È il movimento della pustinia, lo spazio di deserto e di silenzio, che consente di radicarsi nella Presenza e lasciarsi plasmare dall’Amore che non ha condizioni. Questo cammino interiore non è evasione dal mondo, ma ne costituisce la rigenerazione. Solo chi ha trovato il centro, infatti, può abitare le relazioni, le prove e le responsabilità senza esserne travolto, portando nel mondo una forza di pace e di comunione.
Il Regno dei Cieli, quindi santità e incarnazione. La santità non consiste nel fuggire il corpo, la materia o le dinamiche umane, ma nel trasfigurarle dall’interno. L’Amore divino non cancella la carne, ma la redime, riportando alla vita le sue parti ferite e opache. In questo senso, la resurrezione della carne – intesa come esperienza interiore – è parte integrante della via della santità: ogni zona morta dell’essere viene riportata alla luce e resa capace di comunione.
La santità è dunque profondamente incarnata, concreta: si vive nelle relazioni, nella cura, nella giustizia, nel lavoro quotidiano, in ogni gesto in cui l’io smette di possedere e lascia fluire l’Amore.
Ogni essere umano che accoglie la voce interiore e lascia agire l’Amore diventa “figlio di Dio”. In questo senso la via della santità è profondamente relazionale: non si esprime nell’isolamento autoreferenziale, ma nell’apertura agli altri, nella costruzione del bene comune, nella giustizia che nasce dalla compassione. La santità, quindi, è sempre comunionale: un “noi” trasfigurato, un’umanità che si lascia generare da Dio e diventa corpo vivente del Logos.
Morte mistica, svuotamento dell’io, superamento dell’io egoico, resa totoale alla Grazia, ecco la povertà evangelica.
La via della santità è un cammino di interiorità, incarnazione e trasparenza. Spogliarsi dell’ego per lasciare spazio allo Spirito, a scendere nel cuore per trovare il centro, a vivere la materia e le relazioni come luoghi di trasfigurazione.
Nascita segreta del divino nell’umano. È la vita stessa che, abitata dall’Amore, diventa preghiera vivente. “Figli di Dio” lo diventiamo nel momento in cui rispondiamo all’Amore, nel momento in cui ci facciamo trovare, ci rendiamo disponibili”.
“Bussa e ti sarà aperto”; chi cerca trova, e chi si lascia trovare accoglie l’Amore e la Luce e ne diventa canale, dimora. Il divino che nasce in noi.
“Andiamo all’altra riva” Gesù ci invita. Sì, eccomi. L’altra riva è il luogo della pienezza, della luce, del compimento. È il passaggio oltre la paura, l’egoismo, le pesentezze oltre le catene dell’io. Consegna e abbandono.
Non siamo soli in questo attraversamento. Gesù riposa nella barca, i santi vegliano su di noi. Il nostro compito è essere presenti, fidarsi, affidarsi, aprirsi, lasciarci portare. L’Amore abita la traversata. E allora l’anima sussurra ancora:
“Sì, eccomi. Andiamo all’altra riva, Signore Gesù e Santi del mio cuore”.
“Anche il nostro amore salva perché, amando, cooperiamo con l’Amore per la custodia di tutto ciò che ne è accolto. Così ritroveremo e riconosceremo vivo – e intatto – tutto quello che abbiamo amato preservandolo dalla morte, che ha le sue radici nell’indifferenza e nella dimenticanza. La memoria opera con e nell’Amore”(Madre Mirella Muià).