La vita come servizio

Nel Vangelo di Giovanni, i termini greci “discepolo” (μαθητής, mathētēs) e “servo” (διάκονος, diákonos o δοῦλος, doûlos) sono fondamentali, e vanno compresi nel loro contesto storico e teologico. Oggi, nella lingua italiana, la parola “servo” porta con sé una connotazione fortemente negativa: questo rischia di falsare il senso originale che il testo greco voleva comunicare. Ecco perché a mio avviso è necessario contestualizzare e distinguere.

Nel testo biblico i termini greci hanno spesso una ricchezza di sfumature che non sempre si riesce a rendere con una singola parola in italiano. Quando Gesù dice servire o servo, come in Giovanni 12, 26, non sta semplicemente parlando di “fare un servizio” o “obbedire ad un ordine”, ma attinge a una gamma di significati che portano con sé relazioni, libertà, amore, e partecipazione alla sua missione.

Il verbo usato in Giovanni 12, 26 è διακονέω, e il sostantivo correlato è διάκονος (diákonos), tema che deriva probabilmente da una radice che indica muoversi rapidamente per servire, come chi si affretta a portare cibo o aiuto. Nell’antica Grecia indicava l’atto di accudire qualcuno con premura. Non implica costrizione: è servizio volontario, prestato per cura, dedizione, amore. Movimento volontario, prendersi cura. Questo è molto diverso da δοῦλος (doûlos), che significa schiavo o servo forzato, privo di libertà.


Sostantivi greci e significato di base

Termine grecoTraslitterazioneSignificato di baseSfumatura principale
μαθητήςmathētḗsDiscepolo, studente, allievoUna persona che segue per imparare, come un alunno sotto la guida di un maestro
διάκονοςdiákonosServo, ministro, assistentePersona che serve liberamente, che si prende cura
δοῦλος doûlosSchiavoQualcuno vincolato a un padrone senza libertà, servizio per costrizione

Μαθητής (mathētḗs), discepolo

  • Etimologia: dal verbo manthanō, “imparare”, indica apprendimento, formazione, sequela di un maestro
  • In Giovanni, mathētḗs è il termine standard per i seguaci di Gesù: Gv 1,35: Due dei discepoli udirono le sue parole e seguirono Gesù. La relazione maestro ↔ allievo, che in Giovanni si approfondisce fino a diventare amicizia e amore (Gv 15,15).

Διάκονος (diákonos), servo

Significato originario: colui che “serve a tavola”, porta il cibo, si prende cura. Nel NT evolve fino a significare ogni forma di servizio nell’amore (da cui il termine “diacono” nella Chiesa).

Gv 12,26

“Se uno mi serve (diakonē), mi segua; e dove sono io, là sarà anche il mio servo (diákonos); il Padre lo onorerà”

Qui diákonos indica fare l’opera di Gesù, imitando Colui che è venuto non per essere servito, ma per servire (Mc 10,45). Se uno serve la mia causa, contribuisce alla spinta dell’Amore. Servizio e sequela sono inseparabili. Due promesse: intimità e comunione con Gesù, e il Padre stesso onorerà questo servizio.

Quindi servire: gesto fatto per amore e con amore, partecipazione totale. Dedizione totale.

Il versetto si colloca subito dopo l’immagine del chicco di grano (Gv 12,24), dove Gesù dice:

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo;
se invece muore, produce molto frutto.”

Nel v. 25 aggiunge che chi ama la propria vita (psychē, la vita dell’autoconservazione egoistica, l’ego) la perderà, mentre la odia la custodirà per la vita eterna (zōē aiōnios). Il v. 26 quindi spiega cosa significa concretamente seguire Gesù: entrare nella sua stessa via di servizio e di amore. In questo passo, Gesù parla del costo della sequela nel verso precedente, il chicco di grano che muore, v. 24. Dunque possiamo dire che essere diákonos significa diventare collaboratore nel Regno, collaborare nel costruire il Regno dei Cieli, dentro di noi e intorno a noi. Gesù quindi chiama i suoi a un servizio libero e amorevole.

“Odiare” la propria vita (psychē, la vita dell’ego): qui non si tratta di un odio, ma di una scelta radicale di priorità. Odiarla” significa non aggrapparsi ad essa come bene supremo, non farne l’idolo.


Giovanni 15,15

“Non vi chiamo più servi (doúlous), perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.

  • Discepolo (μαθητής): colui che impara e segue Gesù
  • Servo (διάκονος): colui che serve attivamente, partecipando liberamente e con amore alla missione di Gesù
  • In Giovanni 12,26, Gesù usa διάκονος perché parla di condivisione del suo servizio di dono totale, non solo di apprendere la sua dottrina, comunione intima
  • Questo passo prepara a Giovanni 13 (lavanda dei piedi), dove Gesù mostra il servizio con l’esempio, e a Giovanni 15, dove li chiama amici, segno della comunione più profonda

È un annuncio di libertà: siete figli e amici, partecipi della missione del Figlio.

In questo contesto, essere “servo” (doûlos) non era solo una condizione sociale, ma anche un simbolo di oppressione politica e spirituale.


Con oukétí (“non più”) Gesù annuncia una libertà nuova, interiore e comunitaria. Nel mondo greco-romano, il termine doûlos (“servo”) aveva un peso fortemente sociale e politico: lo schiavo era proprietà di un padrone, non aveva dignità personale né diritti. Nella Palestina del I secolo, i giudei erano “servi” dell’Impero romano: vivevano sotto tassazione, controllo militare, e la paura di rivolte represse nel sangue.

“Perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15)


Quando Gesù pronuncia queste parole, il popolo ebraico è sotto il giogo dell’Impero romano: tasse pesanti, soldati che pattugliano le strade, quindi la a condizione di “servo” evoca schiavitù politica e impotenza sociale. Ma c’è anche la memoria biblica. Quando Gesù dice oukétí, si inserisce in questa storia di liberazione: non solo politica, ma interiore e universale, non solo per Israele, ma per tutti i popoli. Gesù crea una nuova comunità fondata sull’amicizia: non più strutture di dominio, non più relazioni verticali di padrone e servo, ma uguaglianza radicale tra i suoi discepoli.

Galati 3:28 “Non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.



Chiamando i discepoli “amici”, Gesù offre una relazione di comunione: non più sudditi di un impero o di un sistema religioso, ma amici di Dio, chiamati a vivere la fraternità come segno del Regno.

Non implica che Gesù prima li considerasse tali, ma che quel termine non descrive più la loro identità attuale. È come se dicesse: Il linguaggio stesso di ‘servo’ non è più adatto per voi.

Quindi, concludento questa riflessione, appare evidente che Le parole bibliche non sono etichette fredde: sono come scrigni, dentro cui si racchiudono significati che vanno oltre la superficie. Quando leggiamo “servire”, rischiamo di pensare subito al linguaggio comune, ma nel greco originale troviamo un mondo di relazioni: servire significa partecipare alla vita di Gesù, camminare dietro di lui (lo dice nello stesso versetto: ἀκολουθείτω, “mi segua”), condividere la sua missione di amore che si dona fino alla fine. Questo ci ricorda che ogni discepolo è chiamato a questo tipo di servizio: custodire, accogliere, nutrire, entrare nel suo stesso movimento di amore, diventare parte della sua opera salvifica, lasciare che la nostra vita, come il chicco di grano (Gv 12,24), si doni e porti frutto. Diventare collaboratore del Regno. Servire la causa del Regno, servire la spinta dell’Amore.

Servizio libero, generoso, trasformante, che apre all’intimità con Cristo e alla gloria promessa della vita eterna. Gesù non solo insegna il servizio, lo incarna con la sua vita. Così Gesù modella il servizio che chiede ai suoi discepoli
Questo prepara i discepoli a comprendere che seguire Cristo significa partecipare alla sua missione di amore e sacrificio, non solo imparare la sua dottrina. Questo servizio ha una profonda dimensione relazionale:

Dove sono io, là sarà anche il mio servo (diákonos). (Gv 12,26)

Il servizio crea intimità tra Gesù e chi lo segue Servire Gesù significa stare dove Lui è, camminare con Lui, partecipare alla sua opera. È una forma di comunione profonda, che unisce il discepolo al Maestro nel dono di sé. Questo servizio è la via attraverso cui il discepolo entra nell’intimità di Cristo, diventando suo collaboratore e amico. Riprodurre il suo stesso gesto d’amore.

Pubblicato il Categorie Giovanni
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